Un gruppo di ricercatori cinesi ha riferito sul New England Journal of Medicine di avere individuato un nuovo virus trasmesso dalle zecche e di averlo chiamato “Wetland virus” (WELV), cioè virus delle zone umide. Ne parla il sito di informazione medico-sanitaria dottoremaeveroche.it.
Un articolo di Roberta Villa
Questo è un articolo tratto da dottoremaeveroche.it. Il sito offre alla popolazione un’informazione accessibile, scientificamente solida e trasparente, e ai Medici strumenti comunicativi nuovi. Dottoremaeveroche.it collabora regolarmente con l’Istituto di Medicina Generale e Public Health di Bolzano per pubblicare e divulgare informazioni sanitarie.
L’articolo dei ricercatori cinesi [1] descrive 17 casi di infezione nel Nord Est della Cina, tutti con sintomi poco specifici (febbre, mal di testa, malessere, dolori muscolari, talvolta disturbi gastroenterici o petecchie, cioè macchioline sulla pelle dovute a piccole emorragie), e tutti dimessi dopo qualche giorno dall’ospedale senza conseguenze.
Se gli autori ipotizzano che questo virus possa provocare danni neurologici è solo per il riscontro di alterazioni patologiche nel cervello dei topi da esperimento in cui è stato inoculato per poterlo studiare. In questi animali, tuttavia, il virus provoca una malattia letale, mentre in tutti i casi umani studiati finora non si sono registrati decessi. Trasferire agli esseri umani le osservazioni ottenute in laboratorio, in assenza di indizi provenienti dai pazienti, sembra quindi per ora prematuro.
Dottore, perché il nuovo virus è stato chiamato così?
Il nome Wetland Virus deriva dalle circostanze in cui lo ha contratto il primo paziente di cui abbiamo notizia, un uomo sui sessant’anni, che nel giugno 2019 fu morso da una zecca in un parco naturale nella zona umida di Yakesh, nella Mongolia interna, regione autonoma della Repubblica popolare cinese.
Cinque giorni dopo, l’uomo cominciò a stare male e si rivolse a un ospedale di Jinzhou, nella provincia cinese di Liaoning, dove la sua situazione si è aggravata con un coinvolgimento di vari organi. Escluse altre possibili cause di malattia, con una tecnologia sofisticata i medici hanno cercato nel suo sangue sequenze genetiche che potevano appartenere a diversi virus, fino a individuarne uno mai visto prima.
Il nuovo agente infettivo è stato classificato all’interno del genere nairovirus, lo stesso cui appartengono un virus che colpisce le pecore in Kenya (da cui il prefisso “nairo” per “Nairobi”) e il virus della febbre emorragica Crimea-Congo, di cui sono stati riportati recentemente due casi in Spagna, uno dei quali letale [2]. Quest’ultimo è l’unico nairovirus a provocare una malattia grave negli esseri umani, mentre in genere gli altri danno sintomi lievi che guariscono da soli.
Dal punto di vista della sequenza genetica, il nuovo arrivato, WELV, assomiglia molto a un altro virus di questo gruppo, isolato nelle zecche nel 2016 in Giappone, chiamato Tofla, che però non è mai stato trovato negli esseri umani. Unico segno di infezione nei mammiferi è stato il riscontro di anticorpi contro il virus in cinghiali della zona di Nagasaki [3,4].
Dottore, ma quanto è diffuso il nuovo virus?
A partire dal cosiddetto caso zero di Wetland virus, le autorità sanitarie cinesi hanno condotto un’indagine epidemiologica molto approfondita, cercando in quattro centri medici di riferimento del Nord Est della Cina e della Mongolia interna altri pazienti con una febbre inspiegata, iniziata entro un mese dal morso di una zecca.
Hanno quindi sottoposto il siero di quasi 700 pazienti febbrili a test molecolare (PCR, Polymerase Chain Reaction) per la ricerca del nuovo RNA virale e del materiale genetico di altri nove agenti infettivi che possono essere trasmessi dagli animali. Il virus delle zone umide WELV è stato trovato in una ventina di casi, ma solo in 17 era l’unico possibile responsabile della malattia.
Questi 17 casi, tra cui il primo, provenivano da luoghi lontani centinaia di chilometri l’uno dall’altro, a conferma che il virus non si trova in un’unica area. La ricerca ha però dimostrato che si concentra particolarmente nel parco naturale di Yakesh, dove si è infettato il caso zero, e dove più di una zecca Haemaphysalis concinna su dieci è risultata portatrice del nuovo virus.
Partendo da qui, la caccia si è allargata a tutto il Nord Est della Cina. Sono state raccolte quasi 15.000 zecche, raggruppate per specie e area di provenienza, tessuti di animali selvatici e campioni di sangue di animali domestici senza sintomi. Altri prelievi sono stati fatti a centinaia di guardie forestali apparentemente sane, ma esposte per ragioni professionali più di chiunque altro al morso delle zecche.
Il virus è stato ritrovato con diversa frequenza in tutte le 5 specie di zecca esaminate, ma più spesso (nel 6,4% dei campioni di diversa provenienza) nella comune Haemaphysalis concinna, che infesta soprattutto i roditori ed è presente anche in Italia. Materiale genetico del virus è stato trovato anche in campioni di siero prelevato dalle pecore e sporadicamente in quelli di cavalli, maiali e roditori selvatici.
Per quanto riguarda gli esseri umani esposti, ma asintomatici, quasi il 2% dei 640 campioni di siero conteneva anticorpi contro il nuovo virus, presenti in diverse percentuali anche tra i bovini, i cani, le pecore e i maiali.
Dottore, ci dobbiamo preoccupare?
Da tutti i dati raccolti con l’accurato lavoro delle autorità sanitarie locali possiamo dedurre che nel Nord Est della Cina il virus circola regolarmente tra animali ed esseri umani tramite il morso delle zecche, senza tuttavia provocare per il momento nessuna emergenza di sanità pubblica.
Ciò serve tuttavia a ricordarci quanti agenti infettivi sconosciuti esistano tra gli animali selvatici e come possano acquisire la capacità di passare a noi, provocando in maniera imprevedibile malattie più o meno gravi, più o meno contagiose, con maggiori o minori potenzialità pandemiche.
Lo conferma per l’ennesima volta anche un recente articolo su Nature in cui un gruppo di esperti descrive il lavoro di analisi compiuto sui tessuti di 461 animali da pelliccia trovati morti per malattia: al loro interno hanno trovato 125 specie virali, di cui 36 mai scoperte prima e 39 ad alto rischio di passaggio tra specie [5].
Bibliografia
- 1 . Zhang XA, Ma YD, Zhang YF, et al. “A New Orthonairovirus Associated with Human Febrile Illness”. N Engl J Med 2024; 391: 821-31
- 2 . European Centre for Disease Prevention and Control. “Communicable Disease Threats Report. Weekly Bulletin Week 30, 20-26 July 2024”
- 3 . Shimada S, Aoki K, Nabeshima T, et al. “Tofla virus: a newly identified Nairovirus of the Crimean–Congo hemorrhagic fever group isolated from ticks in Japan”. Sci Rep 2016; 6: 20213
- 4 . Wulandari S, Nyampong S, Lokupathirage SMW, et al. “Development of an entirely cloned cDNA-based reverse genetics system for Tofla virus of orthonairovirus”. Virology 2024; 598: 110170
- 5 . Zhao J, Wan W, Yu K, et al. “Farmed fur animals harbour viruses with zoonotic spillover potential”. Nature 2024 Sep 4
Autrice
Roberta Villa è giornalista pubblicista laureata in medicina, ha collaborato per più di vent’anni con le pagine di Salute del Corriere della Sera e con molte altre testate cartacee e online, italiane e internazionali. Negli ultimi anni ha approfondito il tema delle vaccinazioni, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della comunicazione, anche in risposta a bufale e fake news. Sul tema della comunicazione della scienza è attualmente impegnata nel progetto europeo QUEST come research fellow dell’Università Ca’ Foscari a Venezia. Insieme ad Antonino Michienzi è autrice dell’e-book “Acqua sporca” (2014), un’inchiesta sul caso Stamina disponibile gratuitamente online. Ha scritto “Vaccini. Il diritto di non avere paura” (2017), distribuito in una prima edizione con il Corriere della Sera e in una seconda (2019) per il Pensiero scientifico editore. È molto attiva sui social network (Youtube, Instagram, Facebook) su cui sta sperimentando un approccio semplice e confidenziale alla divulgazione.
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